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Novità e approfondimenti a cura della Dott.ssa Tumminia

Il “Senso di Colpa” esiste davvero?

Secondo molti orientamenti psicologici di matrice Psicodinamica il senso di colpa a cui ci si appella, consciamente od inconsciamente, di fronte a situazioni o persone verso cui “sentiamo” di “dovere qualcosa” avendo infranto il nostro personale e/o sociale codice etico/morale, in realtà non esiste.

Cosa si intende quindi per “senso di colpa”?

Il “senso di colpa” ,nella maggior parte dei casi, altro non è che un MECCANISMO DI DIFESA a cui ricorriamo quando non abbiamo ( o crediamo di non possedere)  capacità e risorse psicologiche, morali, materiali per predisporre ed affrontare un CAMBIAMENTO, denotando mancanza di coraggio.

Il fine del “senso di colpa” è sempre creare IMMOBILITA’ nella nostra vita.

Un esempio tipico è quello della donna che subisce violenze psicologiche e fisiche ma, nonostante ciò,  fatica ad interrompere la relazione malata appellandosi al senso di colpa che proverebbe verso i figli lasciando l’uomo. In questo caso ” la colpa” viene  adottata, in maniera masochista, come subdolo strumento per il protrarsi di una seria patologia amorosa, cercando in qualche modo di “preservare” l’immagine di sé, protetta da scelte solo funzionalmente guidate dal mantenere integro il codice morale ( soggettivamente reinterpretato ed enfatizzato ) che prevedrebbe il perdono ad oltranza.

In realtà, in molti casi, la “non scelta” è maggiormente dettata dalla “paura” , dall’ “ansia del cambiamento”, dal non essere abituati a volersi bene, più che dal senso di colpa.

L’evoluzione psicologica prevedrebbe invece, come indice di crescita della propria autostima, predisporre un piano di “cambiamento per step”, non di immobilità , specialmente per se stessi , come terreno di incremento della propria autostima e per le persone coinvolte intorno a noi nella storia di sofferenza.

 

Chi partecipa alla nostra immobilità data dal senso di colpa, sviluppa gratitudine verso noi?

No, mai. Solo apparentemente.

Stiamo all’esempio della mamma che decide di rimanere in una relazione violenta, convincendo di farlo per amore dei figli.

In realtà questo comportamento,sebbene a “breve termine” possa essere vissuto dai ragazzi con un senso di “confusa gratitudine”, a “lungo termine” potrà  contrariamente generare negli stessi un profondo senso di fastidio, ribellione ed ingratitudine.

Non agire un comportamento necessario per la propria serenità significa RESPONSABILIZZARE l’altro della propria infelicità , instaurando nell’altro in maniera inconscia un senso di gratitudine obbligato, pur non chiedendolo, verso la rinuncia della propria vita “per l’altro”, un ricatto emotivo eterno.

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