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Novità e approfondimenti a cura della Dott.ssa Tumminia

Il “Vantaggio Secondario della Malattia”: se vuoi aiutare davvero un conoscente malato, non compatirlo! Faresti il suo male…

La persona che ha subìto un trauma fisico ( od anche emotivo ) in grado di condurre ad un certo livello di inabilità fisica momentanea o permanente ( o anche di tipo emotivo -psicologico ) non andrebbe “troppo” compatita , se non per brevi periodi di tempo iniziali in cui la reazione di ritorno empatica di tipo compassionevole ( “patire con te”) diretta verso il malato è costruttiva e funzionale .

Nel tempo successivo è invece necessario aiutare nel suscitare reazioni di “adattamento” costruttivo al periodo di malattia o trauma emotivo – adattamento non passivamente inteso ma come necessario ed inevitabile per poter riadattare in maniera creativa il proprio mondo fisico e psichico (rinnovato) con la nuova vita imposta dall’evento accaduto.

Perché è necessario aiutare il malato a reagire senza compatirlo?

La malattia, se compatita, può indurre il paziente a sviluppare ( spesso in modo del tutto inconsapevole , a volte coscientemente ) “patologici” vantaggi  dati proprio dalla condizione inabilitante , allontanando a volte per sempre la guarigione od inducendo il corpo – attraverso processi psicosomatici – a sostituire ogni volta  con nuove malattie

Perché accade di desiderare “con la testa” la guarigione ma “inconsciamente” decidere invece di prolungare lo stato di malattia psico-fisica?

  • L’autoassoluzione e la deresponsabilizzazione da situazioni “dolenti” già tali prima della malattia. Aver compreso che “per colpa” dell’accaduto- specialmente se la diagnosi prevede tempi lunghi di ripresa – quindi non “a causa mia” ,posso trovarmi a deresponsabilizzarmi dall’affrontare una tematica per me ostica (es . la ricerca di un nuovo lavoro, per cui mi sento incapace ed improduttivo ) può indurre la parte più profonda di noi alla cristallizzazione del problema psico-somatico , delegando al sintomo la responsabilità del dover posticipare la ricerca , automatizzando in comportamento il “messaggio- pensiero”inviato dal cervello
  • L’Attenzione attraverso la malattia

Nelle situazioni peggiori , ad esito pericolosamente patologico , il paziente si accorge come, finalmente , per la prima volta nella vita , sta ottenendo attenzioni dal mondo intorno , proprio attraverso e grazie alla malattia : da “invisibile” per tutti , o fortemente trascurato, diviene “al centro dell’attenzione . Non conviene in termini sociali ed emotivi – così puo’ arrivare a pensare il paziente – abbandonarsi alla guarigione che potrebbe far perdere lo stato di “visibile” tanto fonte di sofferenza nella vita da “sano”.

In altri casi , l’attenzione viene data ( attraverso la malattia od il trauma subìto) in termini concreti ed emotivi insieme : ottenere permessi speciali dai parenti ed amici “grazie” alla malattia ( prima negati ), oppure regali continui , od ancora venire parzialmente o totalmente  esentati da attività lavorative e/o scolastiche od ancora in compiti di vita quotidiana ( mentre magari prima le “pretese” erano vissute come eccessive o ingiuste )  , può condurre – più frequentemente di quanto si pensi – questo tipo di paziente a non voler rinunciare a tali “privilegi” ( così vissuti ) , anche a costo di continuare a rimanere nello stato di inabilità.

  • La procrastinazione verso un ruolo o il bisogno di rallentare o fermare il tempo

Già quando abbiamo una banalissima influenza torniamo un po’ bambini , c’è qualcuno che di frequente prepara la pastina , la frutta e ce la porta , prendendosi cura di noi e facendoci ritornare e rivivere quello stato di “cura primitiva” tramite flashback emotivi dell’infanzia .

Più la malattia e la diagnosi diviene significativa più la cura verso il paziente si intensifica , da parte soprattutto ( generalmente ma non sempre ) dei familiari, amici, marito , moglie, figli…

Procrastinare , cercare di fare perdurare , lo stato di “malato amorevolmente curato”, vedendo invertire il ruolo maggiormente assunto di “colui che cura” può pericolosamente portare ad “affezionarsi” alla condizione nuova , piacevolmente rilassante

Lo stesso accade a persone che, proprio attraverso la malattia, vedono finalmente fermare il tempo normalmente in “accelerazione” : penso alla mamma che lavorando fuori e dentro casa – non essendo mai riuscita a farsi aiutare da nessuno – arriva stremata a fermarsi attraverso una paralisi agli arti inferiori secondo un processo psico-somatico : “finalmente ora sono loro a doversi occupare di tutto”…..

È estremamente pericoloso fare arrivare alla mente il messaggio che “grazie alla malattia” od un trauma subìto finalmente “vengo guardato” dagli altri, ricavando benefici, attenzioni ed assoluzioni auto ed etero impartite .

Questo porterebbe , in tutti i casi, a ricreare attraverso il mondo inconscio ( è questo che poi porta a tradurre in azioni /comportamenti coerenti al messaggio inviato ) sempre nuove malattie e/o  condizioni inabilitanti una volta guariti dalla precedente ,entrando in un circolo vizioso che condurrebbe ad affezionarsi al sintomo molto più che alla possibilità di guarigione .

Se sei parente , amico , di una persona in uno stato anche grave di inabilità ( post incidente, piuttosto che a seguito di diagnosi complesse , o nate in situazioni di disabilità ), ricordati che il bene dell’altro è coccolare ma stimolando alla reazione, trattandola quindi come un essere umano con delle responsabilità e della capacità da sfruttare ,non trattarlo come un malato o si affezionerà al ruolo, rendendo la propria vita e quella delle persone intorno  ancora più complicata.

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